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Quando si parla di educazione troppo spesso ci si riferisce all’insegnamento. Quindi all’insegnamento sia nell’ambito scolastico, sia nell’ambito famigliare. Si pensa a tutte le nozioni che possono essere trasmesse, quindi all’arricchimento culturale. Quando poi si dice di una persona che è “educata”, si intende che quel soggetto sa rispettare il contesto sociale in cui vive. Le cosiddette “buone maniere”. Diventando genitore, una persona si preoccupa molto perché non sa come gestire il proprio figlio, pensa di non essere in grado di insegnargli tutto ciò che può renderlo felice e realizzato e si chiede come abbiano fatto gli altri. Perché non vuole sbagliare. Vogliamo essere di esempio ed allo stesso tempo dare ciò che riteniamo di non aver avuto e di non ripetere gli sbagli che con noi pensiamo siano stati fatti. Così ci comportiamo nel modo opposto ai nostri genitori con il solo risultato che i nostri figli si comporteranno – per lo stesso bizzarro motivo – nel modo opposto al nostro.
Ecco perché secondo me si dice: “Si salta una generazione”. Resta comunque il fatto che siamo confusi. Io ho constatato che quello che noi abbiamo detto ai nostri figli e che ci ricordiamo nonostante siano passati anni (perché per noi quella determinata frase era importante), in realtà viene dimenticato, mentre loro si ricordano altre frasi che – sempre bizzarro – per noi non erano così fondamentali.
Quando poi si dice che i nostri figli ereditano il nostro carattere, sarà anche biologicamente vero, ma io credo che ereditino i nostri comportamenti. Perché ciò che rimane più impresso è quel che vedono, non quel che sentono. Si copia l’esempio. Come fanno – a livello istintivo – gli animali.
Tornando però alla parola “educare” non dimentichiamo il suo significato etimologico: dal latino “e (fuori) e (duco) condurre. Guidar fuori. Significa osservare il potenziale dei nostri figli, alunni, e tirar fuori il meglio da loro stessi ed insegnargli ad arricchirlo. Quanto si può dare in questo senso! Lo studio che feci sulle “Intelligenze Multiple” di Howard Gardner mi è stato di grande aiuto. Quando si dice, riguardo ad un alunno: “E’ portato per…”, significa in realtà che ha un potenziale intellettivo riguardo un determinato settore. E quindi va incoraggiato, aiutato, guidato, ma senza interferenze. Dobbiamo ricordarci che un figlio, sebbene l’abbiamo partorito noi, non ci appartiene. Non sarà come noi, ma sarà un essere unico ed irripetibile che noi potremo aiutare affinchè possa realizzarsi e dal quale potremo imparare ciò che noi non siamo. Un’altra testa, un altro cuore. Vederlo crescere, e osservare questa creatura nelle sue sfaccettature può solo arricchirci.
E poi tre piccoli consigli: ricordiamoci che la cosa più importante che possiamo insegnare ai nostri figli è la propria AUTOSTIMA ed il RISPETTO verso se stessi e gli altri. Verso le persone, gli animali e la natura.
Ricordiamoci di dire loro NON che noi siamo orgogliosi di loro, ma che LORO devono essere orgogliosi di loro stessi. I figli temono il nostro giudizio e hanno paura di ciò che possiamo pensare di loro. Ed è importante che imparino ad accettarsi e ad amarsi.
Mai dire a nostro figlio "SEI uno scemo!" ma piuttosto: "Non FARE lo scemo". C'è una differenza abissale. Non deve identificarsi con un aspetto negativo, ma pensare che il “fare lo scemo” non gli appartiene. Può venire come andarsene. Se gli diciamo che lo è, penserà di non poter essere mai una persona in gamba. Gli abbiamo detto noi che è scemo. Non dimentichiamo che il cervello crede a quello che gli diciamo.
MAI imporgli di amarci, ma di RISPETTARCI. Nessun figlio ha l'obbligo di amare i genitori, mentre ha l’obbligo di rispettarli. Deve essere libero di amare. Non deve crescere con il senso di colpa.
Tre piccole cose, ma per me fondamentali.
Giovanna Spantigati