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I miei articoli
Giulio (lo chiamerò così), 17 anni, sulle piste da sci, spensierato e allegro. Di colpo, l'incidente. Una caduta improvvisa, la vita si spegne. Il silenzio. La vita ricomincia. La rianimazione, i genitori sgomenti e terrorizzati. L'attesa. E' vivo, si, ma… La vita ricominciata non è più la stessa. Non sai cosa sia, non sai come chiamarla. Iniziano gli esami, inizia la condanna ad una vita da disabile. Un giovane paraplegico. I colloqui con i medici: "Muoverà i piedi? Le gambe? Le braccia? Le mani?" E' vivo, bisogna ripetersi per non morire su quella pista da sci, insieme alla sua vitalità tranciata.
Giulio è forte, sembra sereno, Giulio sa tutto. Sono quasi due mesi che lui cerca di riappropriarsi della sua vita, della sua gioventù, dei suoi diritti. La terapia sarà lunga, ma quante volte abbiamo sentito di riprese al limite del miracolo. Ci vorrà tanta volontà, tanti sacrifici. Tutti lo sanno. Non vedono l'ora di iniziare a lottare, di vincere questa sfida, di dimostrare, ancora una volta, che "tutto è possibile".
Ma poi arriva un fisiatra. Guarda le lastre, imperscrutabile legge gli esami, lo osserva impassibile e si pronuncia, dall'alto della sua intoccabilità: "Non c'è nessuna speranza". Resterà per sempre paralizzato dalle spalle in giù." L'onestà, a quanto pare, non viaggia sui binari della pietà. E ci sono certi medici che non sanno nemmeno cosa sia l'umanità.
Ma la speranza fa parte dell'essere umano. Non c'entra con l'illusione. La speranza non si può pensare di cancellarla dalla nostra mente. Solo un elettrochoc può farlo. La speranza è legata all'istinto di sopravvivenza. Chi non spera, è perduto. E non si può dire ad una famiglia straziata di "non sperare". Quante diagnosi sono state contraddette? Conosco una persona che non avrebbe più dovuto muoversi diventare campione paralimpico e conosco invece chi non è riuscito a migliorare, ma so che, a prescindere dall'accettazione del proprio stato, non c'è uno di loro che non voglia sperare che la propria vita possa migliorare.
E' semplicemente umano. Chi di noi non spera? Speriamo di trovare l'amore, speriamo di trovare lavoro, speriamo di riuscire ad arrivare a fine mese. E il disabile non dovrebbe?
Caro fisiatra, la mamma di Giulio avrà tutto il tempo per riuscire ad accettare il peggio. Ma non può, umanamente e fisiologicamente farlo ora. Come succederà? Giorno per giorno, lentamente, il dolore e la rabbia si trasformeranno in forza, le spalle si allargheranno sempre di più, le lacrime lasceranno spazio alla fiducia. Fiducia in Giulio, fiducia nella vita. Tutto questo con l'aiuto di un bravo terapeuta, di un comprensivo ascoltatore, di una grande unione famigliare, di un riscontro nel sociale che ti può capire e non ti fa sentire sola. Non certo grazie a certe figure impassibili che si aggirano nel campo medico. Impassibilità non significa bravura. La bravura di un medico, di un infermiere, di un terapista si vede dalla sua umanità. Un genitore, un disabile, nel loro cuore sanno già benissimo quello che sta accadendo e lo vivono nel terrore. Nei loro occhi leggi solo angoscia ed impreparazione. Un sorriso, una carezza di un medico non sono altro che un atto d'amore. Non generalizziamo, ma ognuno di noi, ripensando alla propria storia personale, ricorda volti gentili e compassionevoli di medici ed infermieri. E proprio per questo sa quanto sono stati importanti.
Ma ognuno di noi non cancellerà mai dalla propria mente il senso di impotenza provata al cospetto di chi non è stato capace di dispensarci un sorriso. La ginecologa che mi ha assistita all'espulsione della placenta e che mi disse, senza un battito di ciglia: "se lo scordi che possa sopravvivere"; le infermiere nei corridoi dell'ospedale che, pochi giorni prima, mi chiamavano né con il mio nome, né con il triste numero del letto, bensì "la minaccia d'aborto", la fisiatra che, al cospetto del suo nutrito seguito e davanti ad altri pazienti mi disse, guardandomi accigliata spostando gli occhiali sul naso: "ma non vede che non è normale?" e quanti altri. Ma questi sono "solo" casi estremi. Cari futuri infermieri e medici, voi che da studenti conoscete l'euforia data dall'idealismo, non perdete l'umanità, la compassione, la comprensione. Non spegnete la vostra speranza di poter migliorare il mondo. Non cancellate il contatto con chi soffre, abbiate il coraggio di guardare negli occhi chi sta male e di andare in profondità.
E nell'umiltà della vostra carezza sarete dei Grandi Uomini. Ecco il significato del giuramento di Ippocrate, 430 a.c.
Giovanna Spantigati