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I miei articoli
Pochi giorni fa ho assistito ad una scena veramente triste. Emanuele usciva da scuola alle 15,40 ed io sono arrivata a prenderlo un po' in anticipo. Avevo parcheggiato davanti all'ingresso e nell'attesa ero rimasta seduta nell'auto a leggermi un libro. Ad un certo punto ho sentito un gran rumore e sono scesa dall'auto per capire cosa stava accadendo.
Un ragazzino sui 15 anni bussava con prepotenza alla porta d'ingresso della scuola mentre un altro cercava di sostenere una ragazzina da loro seduta sui gradini in stato di semi-incoscienza. Visto che la bidella non arrivava ho detto al ragazzo di insistere, ho capito subito che la ragazzina (che chiameremo Stella) stava veramente male. E' arrivato un insegnante e ha chiesto se quella ragazza fosse una loro studentessa. I due ragazzi hanno detto di si, che faceva la prima liceo e che non era rientrata perché aveva tagliato la scuola nel pomeriggio, che aveva bevuto e stava male.
Loro l'avevano trovata così in quello stato nei giardinetti di fianco al liceo. Il ragazzino che bussava con prepotenza mi ha spiegato che lui non c'entrava niente, che era la sua fidanzata ma lui l'aveva lasciata tre giorni prima e che lei aveva bevuto apposta fino a star male. Il professore, infastidito, preoccupato, ha subito detto: bisogna chiamare la madre! Ma io ho insistito perché chiamassero un'ambulanza. Nessuno si preoccupava di togliere quella ragazza dalle scale, io ho detto di portarla dentro subito ed i ragazzi l'hanno sdraiata sulla cattedra di un'aula. I professori erano innervositi, i compagni incuriositi e basiti, le bidelle urlavano.
Io mi sono avvicinata al viso di questa ragazza. 14 anni, l'età di mia figlia Martina. Sudata fradicia, gelata come se fosse collassata, non apriva gli occhi ma si lamentava. Le tenevo strette le mani, lei ha cominciato a piangere, a dire che voleva morire, poi a urlare dal male alla pancia. Le accarezzavo i capelli e le dicevo di stare tranquilla che sarebbe passato tutto, che sarebbero arrivati i dottori. Nessuno che chiamava i genitori, erano tutti in palla. Finalmente è arrivata un'amica di Stella, avevano tagliato insieme. E' arrivata di corsa, urlando, lanciando lo zaino per terra. L'abbiamo calmata subito. L'ho presa per le spalle con fermezza ma con dolcezza e le ho detto: che cosa è successo, cosa ha preso? guarda che devi dirlo PER LEI, tanto i dottori le fanno le analisi del sangue e lo scoprono subito. Lei era terrorizzata, ha detto che sono andate a comprarsi una bottiglia di rum ma non pensava che la sua amica avrebbe bevuto così tanto. Si è girata verso Stella per la rimproverarla "Ma che cosa hai fatto!" inutilmente. Stella non capiva nulla, girava la testa sudata, piangeva e ripeteva non cosciente il nome dell'amica, delirando.
Io ho preso la ragazzina in disparte e le ho sussurrato: "non sgridarla adesso... rassicurala... tu non ti rendi conto di quello che si rischia facendo così!". Non potevo dirle che si rischia il coma etilico, ammesso che non abbia ingerito anche altre sostanze... era già troppo spaventata così. A quel punto la campanella è suonata, Emanuele è uscito dalla sua classe ed io sono dovuta andare via. "Continuate a rassicurarla!" ho detto ai professori. L'ambulanza stava arrivando ed io sono uscita di lì piangendo.
La sofferenza degli esseri umani è la mia sofferenza. Quando ero ragazzina mi occupavo di volontariato. Andavo a trovare una signora molto, molto anziana in una casa di cura. Aveva solo me. Quando entravo nella sua camera lei mi stringeva forte le mani poi sorrideva felice. Tanto poco le bastava. Io le raccontavo della mia famiglia, dei miei studi e lei, come una bisnonnina mi ascoltava sempre anche se a volte dovevo ripeterle le cose più volte... le avevo raccontato dei miei pesciolini rossi e ogni volta che andavo a trovarla mi chiedeva: "E i pesciolini???" con la sua voce non più ferma, tanto ansiosa... Bastava così poco per farla ridere talmente tanto che le tremava tutto il corpo e altrettanto poco ci voleva per toglierle le sue poche certezze e farla piangere... Non ho mai avuto il coraggio di dirle che i pesciolini non c'erano più.
Mai buttarsi via, mai buttare via la propria vita, è un miracolo, è una meraviglia. La prima cosa che ho insegnato ai miei figli è stato di guardare il cielo, i colori della natura, la meraviglia del sole. Guarda che bel tramonto, Manu, guarda che arcobaleno, Marti.
Io non so chi fosse quella ragazzina che non era compagna di mio figlio. Forse non la riconoscerò nemmeno quando la vedrò perchè quello che ho visto su quella cattedra era solo un viso stravolto, ma se invece la dovessi riconoscere fra i mille altri studenti le andrò incontro. E la abbraccerò.
Giovanna Spantigati