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I miei articoli
Orgogliosa, si, orgogliosa della mia vita. Ridere, scherzare con i miei figli, con la nostra complicità, fatta di semplici giochi, di ironia, di segreti…
Prendermi cura di Emanuele, dandogli fiducia, prendendoci in giro, insegnandogli a non prendersi troppo sul serio e vedere il suo sorriso, i suoi occhi sereni.. A volte è proprio solo un attimo; l'attimo fuggente di un'intesa.. Siamo un gruppo, e il gruppo è congregazione, è alla base delle esigenze istintive dell'essere. E' il mantenimento e la salvaguardia della specie.
Il gruppo fa la forza e noi siamo i tre moschettieri… Athos, Porthos e Aramis. Athos, "nobile figura, pallido viso di gentiluomo", delicato come Emanuele, Aramis "grazia e dolcezza", come la bella e determinata sorellina… Porthos "forza ed energia", eccomi qui. Noi, seduti ad un tavolino del bar della piscina a farci scherzi… farmi prendere in giro da Emanuele, comunicare in lis (lingua italiana dei segni), così nessuno può capirci… non so come spiegare. E' lo stupore del trovarci a ridere liberi dai pensieri, con complicità… sentendoci grandi, unici. Osservare con la coda dell'occhio che le persone intorno a noi sorridono. E non è per compassione, questa volta, ma perché la nostra allegria è coinvolgente, e la nostra unione sacra.
In quell'attimo che sfugge, come il passare del tempo, come la vita, ti senti in sintonia con la serenità ed apprezzi la fortuna di avere tra le mani niente di meno che la tua vita. Poi l'attimo svanisce.. torna tutto come prima. Il dopo e il prima si mescolano ed il tempo e lo spazio, come in una visione del mondo in chiave quantistica, sono relativi, non ci sono più. Non c'è più traccia di quella polvere di magia. L'insofferenza, la nevrosi, l'insoddisfazione: "Uffa, smettila Emanuele, lasciami in pace!" ma è normale, è giusto che sia così.
E' sano. I momenti migliori ti rapiscono come una danza silenziosa in punta di piedi della dolce Campanellino delle favole, avvolta da un barluccichio di stelle… Eppure pochi giorni fa volevo urlare il mio dolore… urlarlo in mezzo alla gente inconsapevole.. destino bizzarro.. la fatica dei miei giorni.. Un urlo liberatorio, l'urlo di un leone sanguinante che alza la testa impazzito dal dolore e dalla paura e urla.. urla "NO!" con tute le sue forze, un urlo che spacca le viscere. E come l'aria si espande nel mondo, l'urlo si dissolve, e il dolore si placa..
Ma no, non ho urlato vedendo mio figlio impossibilitato ad entrare in acqua da solo nel lago, a camminare sulle pietre, a raggiungere sua sorella che giocava nell'acqua, a giocare a calcio sulla sabbia insieme gli altri bambini, a giocare a beach-volley, o ad andare semplicemente a prendersi un gelato da solo. Non ho urlato. Ho solo detto "E se un giorno io impazzissi?" Ben sapendo che, finchè lo si dice, non potrà succedere; che è tutto, assolutamente, come lo definisco io "il minimo sindacale". E poi cosa mi succede? Che so che passa. Che il dolore si alterna alla gioia, in un'altalena spinta dal vento del destino. E aspetto fiduciosa.
Ed ecco che un vento sorridente e benevolo spinge l'altalena verso l'alto, ad assaporare il profumo della gioia. L'attimo fuggente.
Giovanna Spantigati